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Confettura di Fichi

I fichi colti dalla pianta a giusta maturazione a temperatura ambiente si deteriorano in breve tempo. Pertanto i migliori risultati si ottengono con frutti di sicura provenienza e di giornata. Se i frutti sono sani e sodi (come in foto) si consiglia la Confettura altrimenti la Marmellata.
Vedi Confetture e MarmellateIngredienti:
1,5 Kg di Fichi puliti e sbucciati
0,750 Kg. di zucchero
1/2 bacca di vaniglia
250 ml di acqua
mezzo limoneCon queste quantità si ottengono circa 1,2 – 1,5 Kg di confetturaRev. 02 Settembre 2007Mondare bene i fichi, togliere il picciolo e se hanno la buccia dura o ammaccata sbucciarli.
In una pentola preparare uno sciroppo con 0,750 Kg. di zucchero più 250 ml di acqua e mezza stecca di vaniglia, incisa nel senso della lunghezza, per ogni chilo e mezzo di polpa di fichi.
Appena lo sciroppo raggiunge i 30-33 gradi di densità aggiungere i fichi due o tre alla volta facendo attenzione a non far scendere la temperatura. Cuocere ancora per un ora e mezzo circa, mescolando con un mestolo di legno e togliendo i semi che affiorano con una schiumarola fino ad ottenere la consistenza desiderata.(vedi La cottura dello zucchero) 
Aggiungere il succo di mezzo limone per ogni chilo di frutta. Togliere la vaniglia, invasare la confettura, chiudere ermeticamente e riporre al fresco.Spunti & trucchi
Prima di chiudere i vasi inumidire i tappi ermetici con un goccio di ruhm o grappa. Oltre a sterilizzare ulteriormente il tappo ciò dona un gradevole aroma alla confettura.
Oltre alla vaniglia si può aggiungere anche un pezzetto di cannella

Confetture Marmellate e Conserve

La conservazione degli alimenti

Fin dai tempi dell’uomo delle caverne, la conservazione del cibo ha sempre avuto una vitale importanza. La conservazione è importante per ovvi motivi: per superare i momenti di carestia successivi a quelli di abbondanza, per il traporto del cibo dal posto di origine al luogo della consumazione… Fortunatamente oggi esistono i frigoriferi ed i congelatori, ma prima? Prima di arrivare al frigorifero sono stati escogitati dall’uomo, nei millenni, diversi metodi: l’uomo delle caverne arrivava addirittura a sotterrare il cibo. Successivamente la conservazione si è ottenuta essiccando il cibo al sole, poi utilizzando erbe aromatiche, o il sale

In questa occasione, quello che mi interessa considerare è invece lo zucchero. Molti non lo sanno, ma lo zucchero è un “conservante” naturale. Come il sale.
Non voglio fare un trattato di biologia, non ne ho ne l’autorità ne le competenze. Mi limito a puntualizzare alcuni aspetti importanti riguardo all’utilizzo dello zucchero come conservante.
Oggi molti medici, scienziati, dietologi discutono sui pericoli e sui danni provocati dalla cattiva conservazione degli alimenti. Anche del congelatore.
Il processo di deterioramento del cibo è caratterizzato dalla proliferazione dei batteri e microbi che ne trasformano la sostanza rendendolo nocivo per l’organismo umano.
Le basse temperature dei frigoriferi consentono di conservare più a lungo gli alimenti, rallentando le reazioni enzimatiche e chimiche. A causa del rallentamento dell’azione enzimatica, anche lo sviluppo dei microbi viene rallentato: a -18 gradi può essere considerato nullo.
La maggior parte dei microbi, però, non viene uccisa dal freddo, come pure le tossine microbiche.
Quindi:
indipendente dal metodo di conservazione degli alimenti è bene partire da un alimento sano dal punto di vista igienico, batteriologico.
Proprio per questo è sempre bene lavare la frutta e la verdura con acqua e amuchina, bollire per almeno 10 minuti oltre 100° ecc.

Altro pericolo, molto ricorrente oggi, è il Botulino. Un batterio della stessa famiglia del Tetano che provoca infezioni molto gravi, le quali possono portare fino alla morte. Per maggior informazioni invito a consultare altri siti più specialistici.
Il batterio, Clostridium botulinum, si sviluppa nelle seguenti condizioni:
ambiente con assenza di ossigeno (meno del 2 %)
cibi umidi
ambiente poco acido con ph maggiore o uguale a 4,5
temperatura tra 3 e 50°C
concentrazione salina inferiore al 10%

di conseguenza il pericolo si può manifestare con alimenti non ben sterilizzati e conservati sott’olio. Non si può manifestare in alimenti conservati sott’aceto, o comunque in ambiente acido e nella marmellate con concentrazione di zucchero superiori al 35%.

In definitiva, lo zucchero al contrario delle basse temperature ha la proprietà di escludere la presenza di microbi e batteri, senza limitarsi a rallentarne l’azione. Un vantaggio non da poco!

La cottura dello zucchero

La cottura dello zucchero è semplice se effettuata con le dovute accorteze. Lo zucchero deve essere bianco e cristallino, deve essere messo a cuocere sul fuoco piccolo in un tegamino di acciaio. A seconda della ricetta può essere bagnato con acqua, con limone o liquore. Lasciare sciogliere senza mescolare ma scuotendo il pentolino.
Appena comincia a bollire lo zucchero diventa trasparente. Lasciare cuocere fino alla densità desiderata. Durante la cottura lo zucchero comincia a perdere acqua, per evaporazione, ed aumentare di densità. Prolongando l’ebollizione si ottiene uno sciroppo sempre più denso e scuro fino alla completa perdità dell’acqua e zucchero diventa caramello di color bruno scuro. Tale densità si può misurare con l’apposito strumento :pesa sciroppo o aerometro Baumé. In modo pratico si può dividere le varie densità in questo modo:
20 gradi = appena lo zucchero comincia a bollire
28 gradi = quando si vela un cucchiaio
30 gradi = quando comincia a filare ossia presa una picola quantità tra il pollice e l’indice, inumidite in acqua predda, si schiaccia e rilasciando forma un filo di 2 o 3 cm
33 gradi = quando il filo raggiunge i 4-5 cm
35 gradi = quando bollendo, lo zucchero, comincia afare delle grosse bolle
37 gradi = quando preso tra le dita è ancora morbido da formare delle palline
39 gradi = quando schiaciato tra due dita forma una lamella dura e croccante
40 gradi = quando si vetrifica
Caramello quando ormai ha perso completamente l’acqua

Conservare la frutta con lo zucchero

Attenzioni generali:
Per la conservazione usare sempre i frutti più sani e a giusta maturazione. Nelle operazioni sotto descritte, usare pentole di acciaio per dare un calore uniforme e per impedire la trasmissione di ossidi alle conserve. Per i vasi usare possibilmente quelli di vetro con i tappi ermetici e sterili.

I vasi vanno lavati in acqua calda e detersivo, sciacquati con acqua e amuchina (un cucchiaio per 10 litri) e messi ad asciugare rovesciati su di un panno pulito. Meglio se passati al vapore, sempre rovesciati, in una grossa pentola con poca acqua per una quindicina di minuti.
(Quando non esistevano le siringhe sterili usa e getta, in medicina si usava fare lo stesso con le siringhe di vetro e gli aghi…)

I metodi di conservazione della frutta sono diversi e possono essere classificati nelle seguenti categorie:

la confettura

si ottiene cuocendo la frutta intera o a pezzi in uno sciroppo di zucchero. I frutti più sani e a giusta maturazione daranno le migliori confetture.
Riempire la pentola non più dei due terzi perchè bollendo la confettura schiuma e aumenta velocemente di volume.
Controllare la cottura e schiumare solo alla fine.

Riempire il vaso fino quasi all’orlo di confettura ancora bollente; versare poi qualche goccia di grappa o rhum sul tappo e ruotarlo facendo bagnare tutta la parte che andrà a contatto col vetro. Chiudere ermeticamente e lasciare raffreddare. Conservare in un luogo buio, fresco, e asciutto.

la conserva

si ottiene facendo cuocere i frutti interi o a pezzi, con o senza sciroppo di zucchero, in vasi di vetro immersi in acqua bollente. Sterilizzare i vasi come descritto in precedenza. Lasciarli sgocciolare sopra un canovaccio pulito. Riempire con la frutta scartando assolutamente qualla non perfettamente sana e cercando di non lasciare spazi vuoti nel vaso. Lasciare meno aria possibile. Chiudere i vasi e porli in un recipiente adatto, inserendo dei panni tra un vaso e l’altro per non farli rompere al momento dell’ebollizione. Coprire di acqua fredda e portare all’ebollizione. Attenersi ai tempi di cottura indicati sulla ricetta. Togliere i vasi dalla pentola e coprirli con un panno per evitare brusche escursioni termiche che possono rompere il vetro.

la gelatina

si ottiene facendo cuocere il succo del frutto con dello zucchero, in egual peso. La preparazione della gelatina deve essere più accurata rispetto a quella delle marmellate e delle confetture. La gelatina deve esere filtrata e risultare trasparente. La cottura deve essere sorvegliata: la gelatina diventa troppo scura se cotta troppo o acida se cotta poco. I vasi si preparano come per le confetture e devono essere coperti solo quando la gelatina si sarà raffreddata.

la marmellata

si ottiene mettendo a macerare la frutta con lo zucchero per diverse ore prima di portarla a cottura.
Il procedimento segue quello delle confetture.

la composta

si ottiene come la confettura, aggiungendo però altra frutta o liquori. In genere si utilizzano le mele per abbassare la concentrazione di zucchero o per aumentare la quantità di pectina. La composta è subito pronta all’uso e si serve calda.

la frutta candita

si ottiene partendo da uno sciroppo che sarà completamente assorbito dalla frutta in tempi successivi. Dapprima lo sciroppo risulta fluido, poi si lascia assorbire dalla frutta, tenuta immersa per un giorno. In seguito lo sciroppo viene riportato all’ebollizione, operazione da ripetersi per diverse volte. La frutta può essere candita intera o a pezzi. Per ottenere un risultato ottimale, utilizare frutta non completamente arrivata a maturazione.

rev. 11 Nov 2016 lenostrericette.it

Confettura di Mirtilli

Prima rev. 24/8/2008

Come per tutte le confetture la regola è sempre la stessa. I migliori risultati si ottengono con frutti sani e che non abbiano toccato il frigorifero. Inutile fare una confettura di Mirtilli se non si dispone di frutti di bosco raccolti in giornata.

Con queste quantità si ottengono circa 2,3 Kg di confettura

  • 1,5 Kg. di Mirtilli
  • 1 Kg. di zucchero
  • 1 mela (cotogna, renetta, golden..)
  • 250 ml di acqua
  • 1 limone non trattato

Preparazione

Mondare bene i mirtilli, liberarli dalle foglie e dai piccioli.

In una pentola preparare uno sciroppo con lo zucchero e l’acqua e la mela sbucciata e a pezzetti.

Appena lo sciroppo raggiunge i 30-33 gradi di densità aggiungere i mirtilli poco alla volta facendo attenzione a non far scendere la temperatura. Cuocere ancora per un ora circa, mescolando con un mestolo di legno fino ottenere la consistenza desiderata.

Versando un cucchiaino di confettura su di un piatto i frutti devono rimanere interi e il liquido non deve essere acquoso. (vedi La cottura dello zucchero)

Invasare la confettura, chiudere ermeticamente e riporre al buio.

Con una comune stampante si possono fare anche le etichette.

mar_mirtilli

Abbinamento

Difficoltà

BASSA

Spunti & trucchi

Prima di chiudere i vasi inumidire i tappi ermetici con un goccio di grappa o altro liquore.

Oltre a sterilizzare ulteriormente il tappo ciò dona un gradevole aroma alla confettura.

Speciale Peperoncino

Dal sito di GuidaSicilia.it

Piccante, per dimagrire, curarsi e … molto altro ancora

Tra i buoni propositi di questa stagione c’è anche quello di perdere qualche etto in eccesso?
Un trucco consiste nell’introdurre cibi che “bruciano in bocca” per eliminare le calorie in eccesso. Secondo uno studio, infatti, chi mangia cibi piccanti elimina oltre 45 calorie in più, a parità di pasto.

Le spezie piccanti fanno insomma aumentare il metabolismo di circa il 25%: questo aumenta la possibilità di perdere peso.
Unico inconveniente: non è ancora chiaro quali siano le spezie in grado di far “bruciare” le calorie. Il peperoncino sembra abbia questo effetto ma non, ad esempio, lo zenzero.

Un po’ di storia
Il peperoncino arrivò in Europa stivato nelle caravelle di Colombo che tornavano nel vecchio continente, nel 1514. Il nome con il quale era chiamato in tutto il nuovo mondo era “chili” e così è rimasto.
Il primo occidentale che conobbe sulla lingua il sapore piccante del peperone fu il medico della seconda spedizione di Colombo, Diego Alvaro Chanca, che lo usò come condimento nel 1494.
Fino al secolo sedicesimo, nessuno dei grandi popoli della civiltà occidentale aveva mai potuto aromatizzare le sue vivande con l’apporto di questo vegetale allegro, umile, vivificante.
Il peperoncino acutissimo al gusto apparve subito adatto per conservare e insaporire le vivande: tant’è che il Mattioli, medico senese autore di un famoso trattato sulle piante del 1568, ne parla già come di una pianta comune, chiamandolo pepe cornuto o pepe d’India.
Comincia da qui la difficile e intricata questione della nomenclatura a proposito del nostro frutto, che troverà solo con la sistematica di Linneo, nel settecento, il definitivo nome scientifico di “capsicum”.
In brevissimo tempo la coltivazione del pepe d’India si diffuse nei paesi del mediterraneo, favorita dal clima e dal sole.
Attecchì benissimo nel nostro Sud, dove il peperoncino è rimasto, quasi ovunque, l’aroma preferito, e in tutta l’Africa settentrionale.
Oggi, è venduto in quantità in qualunque mercatino della Tunisia, Algeria, Libia, Egitto, Marocco.

La carta d’identità
Pianta che appartiene alla famiglia delle solanacee ed al genere capsicum.
Nome botanico(genere e specie) :Capsicum frutescens, Capsicum annum.
Le piante si presentano sotto forma di cespuglio con foglie di colore verde chiaro su fusti delicati.La loro altezza varia dai 40 agli 80 cm e la loro larghezza, dipendente dalla specie, risulta sempre variabile tra i 40 e gli 80 cm.
Fiorisce con fiori bianchi stellati a 5-6 petali con stami giallo tenue.

Come si coltiva
Il peperoncino può essere coltivato in balcone, seminando da febbraio a marzo in una cassettina contenente terriccio da semina e trapiantando poi la pianta all’aperto in aprile – maggio, quando è alta 10 cm circa.
Date le misure della pianta occorre che esse vengano interrate alla distanza di 10-15 cm l’una dall’altra ed eventualmente protette nelle zone più fredde, in modo da mantenerle ad una temperatura di minimo 19 °C. I frutti si raccoglieranno da giugno fino a novembre.
Alcune delle specie più note
HABANERO Considerato da alcuni come il peperoncino messicano più piccante al mondo, ha un colore arancio o rosso e la forma di una lanterna della lunghezza di 5 centimetri. Ottimo nelle salse piccanti.
PAPRICA (Capsicum annuum) Polvere ottenuta a partire da una particolare qualità di peperone dolce, fatto seccare e quindi ridotto in polvere. Originaria del Messico la pianta è stata introdotta in Ungheria dove è diventata un ingrediente simbolo della cucina di questo paese.
ANCHO E’ sicuramente il peperoncino più popolare in Messico. Di colore rosso-arancio ha un sapore dolce e fruttato. E’ ottimo per farcire i ripieni e per aromatizzare le salse. Lo si trova spesso già ridotto in polvere.
CHIPOTLE Peperoncino messicano color caffé, è un jalapeño di grossa taglia maturato ed essiccato. Prima di utilizzarlo conviene gettare il picciuolo ed i semini e ridurlo in purea con poca acqua
AJI Passano sotto questo nome una grande varietà di peperoncini peruani, come l’ají huacatay, il verde molido, il limo amarillo, il montaña di colore rosso dall’odore intenso e molto piccante, il mirasol verde e seccato, o il più comune panca di grossa taglia e dal colore rosso marrone, che a differenza delle altre speci non è piccante ed è molto usato per insaporire i piatti.
PRIK CHEE Ampiamente utilizzato nella cucina thai, ha la dimensione di un dito ed è moderatamente piccante. Può essere verde, giallo o rosso a seconda del grado di maturazione.
PRIK KEE NOO Peperoncino thailandese di piccola taglia ma terribilmente piccante, può essere rosso, verde, giallo-arancione, il suo impiego spazia dai curry alle salse.
GUAJILLO Peperoncino messicano di colore bruno scuro, può raggiungere i 10-15 centimetri di lunghezza ed una forma leggermente ricurva. Ha un sapore dolce ed un’aroma che ricorda vagamente il té verde. Ottimo per la preparazione di salse.
JALAPENO E’ probabilmente il peperoncino messicano più conosciuto in Europa, ha un colore verde scuro, la polpa spessa ed una lunghezza variabile tra i 5 ed i 7 centimetri, è moderatamente piccante lo si consuma preferibilmente en escabeche (in salamoia).
PASILLA Peperoncino messicano lungo e sottile dal colore marrone scuro, ha un gusto particolare di liquerizia. E’ delizioso ridotto in salsa per aromatizzare i piatti a base di frutti di mare ed il ceviche.
POBLANO Peperoncino messicano di colore verde scuro lungo circa 10 centimetri. Lo si consuma cotto e mai crudo, è eccellente grigliato al forno.
SERRANO Peperoncino messicano di colore verde vivo o rosso e molto piccante. Ha un gusto deciso ottimo per insalate,marinate e salse.
PEPERONCINO DI CAYENNA Si tratta di uno dei peperoncini più piccanti al mondo, dal colore rosso-arancio o verde ha un profumo assolutamente particolare che si presta ottimamente per dare un tocco piccante ai piatti africani e caraibici.
Come si conserva
I metodi migliori per conservare il peperoncino in modo che non perda le sue proprietà sono: sott’olio o secco Esso deve essere utilizzato appena colto altrimenti il sapore si altera. Per ottenere un sapore piccante è consigliato seccare i peperoncini al sole e polverizzarli, qualche giorno dopo la raccolta.Per chi preferisce metterli in salamoia, si consiglia di coglierli senza togliere il picciolo ed i semi e, scottarli in acqua e aceto bollenti per 1 minuto. Portare poi ad ebollizione in una pentola un litro d’acqua,toglierli dal fuoco ed aggiungere 250 gr. di sale da cucina, raffreddarli e sistemarli in un vaso di vetro.
Le sue caratteristiche
Il vero nome scientifico del peperoncino è Capsicum, nelle varie vesti di minimum, fastigiatum, frutescens, annuum.
La parola deriva dal latino capsa che vuol dire scatola o dal greco kapto che vuol dire mordo, mangio avidamente (per la sua dote di eccitare l’appetito).
Il principio attivo, l’alcaloide, si chiama Capsicina ed è contenuta specialmente nella placenta, un velo sottile, attaccato alla parte interna del frutto, che sorregge ed avvolge i semi.
Nell’epicarpo sono contenute le sostanze coloranti che danno il bel colore al frutto: capsorubina, zeaxantina, criptoxantina.
Nell’olio dei semi vi sono: acido miristico, palmitico, stearico, carnaubico, oleico.
Nel frutto: acido malonica e citrico, potassio, rame, zinco, fosforo, zolfo, magnesio, ferro.
Le Vitamine: Vitamina A 420 U.I, Tiamina 0,08, Riboflavina 0,08, B6 0,22, Niacina 0,22, Acido Pantotenico 0,23, Acido Folico 8, Acido Ascorbico 128, Vitamina E 60 gamma.
Per i più pignoli vi diamo anche la formula chimica della Capsicina e il suo nome “chimico”
Le sue doti
Ecco una lista delle straordinarie doti di questo prezioso frutto:
Carminativo (scaccia i gas dalla pancia)
Eupeptico (fa digerire bene)
Previene l’ infarto
E’ afrodisiaco (aumenta il desiderio sessuale)
Fa abbassare la pressione alta
Fa aumentare la pressione bassa
Migliora l’emodinamismo
Fa smettere di fumare
Sollecita la coagulazione del sangue
Protegge i capillari
Cura l’ulcera gastrica e duodenale
Cura le emorroidi e le ragadi
Abbassa il colesterolo
Indicato nelle prostatiti
Cura le allergie e l’asma
Evita le trombosi
Cura la colite
E’ anticancerogeno
Cura nevralgie, reumatismi, distorsioni, lombaggini, torcicollo.
Cura la gotta
Aiuta gli alcolisti a smettere di bere
Migliora la depressione e l’ansia
Indicato nelle faringiti e laringiti
Caduta dei capelli
Distacco di retina
Incontinenza urinaria
E’ diuretico
E’ diaforetico (fa sudare)
Cura la dismenorrea
Otite
Insufficienza epatica
Psoriasi
Stitichezza
Herpes Zoster
Vene varicose
Cellulite
Pellagra
Malaria
Colera
Enfisema polmonare
Cistopielite
Allevia i dolori del parto
Emicrania e cefalea
Pulisce i denti
Mal di mare
Anoressia
Obesità
Ernia iatale
Mal di denti
Acne giovanile
Sordità
Apoplessia
Tosse
Abbassa i trigliceridi
Diverticolite
Geloni
Raffreddore
Come placare il bruciore?
Per quelli che hanno esagerato con le dosi, oppure se ne sono trovati un pezzo in bocca senza volere, c’è un solo rimedio!!Evitare assolutamente di bere dell’acqua, vino, birra, o altro: le cose non faranno altro che peggiorare!L’unico modo è masticare del pane, o ancor meglio della mollica, magari dopo essersi messi sulla lingua un pizzico di sale. FATE ATTENZIONE!!!
Come si misura il potere “ustionante”?
Il potere urticante di un peperoncino viene misurato in due modi differenti:
Scoville Heat Units (S.H.U.)
Dremann’s Hotness Scale (D.H.S.)
Le due scale si basano su due principi diversi, comunque abbastanza empirici, e le classifiche di piccantezza che ho trovato in giro non si riferiscono allo stesso gruppo di qualità di peperoncini, quindi il più piccante di una scala non lo è per l’altra. Secondo il mio modesto parere ogn’uno può crearsi la sua scala come più gli piace, mettendo a confronto i peperoncini nella preparazione della sua salsa preferita o qualsiasi altra cosa. buon divertimento!!!
Scoville Heat Units
Si basa su di un sistema empirico che valuta la reazione della pelle umana al contatto, e l’unità di misurasono le Scoville Heat Units (S.H.U.). Ovviamente questa misura varia in modo imprevedibile in virtù di numerosi fattori, compresa la tolleranza del singolo individuo. In una scala media che classifica i peperoncini a seconda del gusto piccante, quello più dolce è collocato a 0 unità e i più forti (come l’habanero) a 300.000 Scoville Heat Units.
A seconda della loro forza, i peperoncini si possono dividere più o meno precisamente in tre grandi categorie:
o Ferocemente piccanti-brucianti:
habanero, chiamato anche “la vendetta del diavolo” (300.000 Scoville Heat Units [S.H.U.]), calore di fusione, intenso gusto fruttato piccante); thai (100.000 S.H.U., calor bianco, persistente); cayenne (50.000 S.H.U., gusto lievemente dolce e intenso); de Arbol (15.000 S.H.U., calore pungente, gusto erbaceo); serrano (15.000 S.H.U., leggermente acido). Peperoncini piccanti sono anche l’amarillo, il limon, il chiltepin, il santaka, il japones, il rocoto, il piquin (chiamato anche petine), il tabasco, il puja, il Guajillo, il cascabel e il mirasol (gusto di frutti tropicali).
o Piccanti-pungenti:
il polposo e versatile Jalapeno (5.000 S.H.U., gusto vegetale); l’ancho o poblano (1.500 S.H.U., leggermente dolce, con gusto di uva passa); il pasilla (2.500 S.H.U., gusto lievemente affumicato); il new mexico (1.000 S.H.U., gusto erbaceo e terroso, leggermente dolce e acido).
o Leggeri-blandi-dolci:
california (500 S.H.U., media dolcezza); le specie sudoccidentali come l’anaheim rosso e verde (gusto dolce e vegetale); cubanella, squash, chiloca, chowa, deaqua (leggermente fruttati e aspri); cherry (media dolcezza) e banana (100 S.H.U., appena dolce); sweet bell (0 S.H.U., leggero, dolciastro e vegetale), che comprende le specie più diffuse come quelle olandesi e mediterranee, molto utilizzate (di colore viola, marrone, rosso, verde, giallo e arancione), la specie ungherese di media grandezza e quelle spagnole rosse e gialle di media grandezza (pimento).
Dremann’s Hotness Scale
Anche questo è un sistema empirico basato ed è basato sul diametro, ma non sulla lunghezza, del peperoncino (più è piccolo e più è cattivo) e sulla capacità di aumentare la “cattiveria” di una salsa per unità di peso. Questa scala indica le once di salsa che si riescono ad insaporire (cioè si sente l’aumento della piccantezza) con l’aggiunta di una sola oncia di peperoncino verde fresco. Nel caso di peperoncino maturo si deve moltiplicare la quantità per 2, se è secco si deve moltiplicare per 10.
Diametro del frutto Dremann’s Hotness Scale
5-10 mm da 1,000 a 8,000
10-25 mm da 100 a 2,000
2.5-4 cm da 100 a 1,000
4-7.5 cm da 50 a 250
Di seguito trovate la scala per 31 specie di peperoncini. La ” f ” sta per frutto fresco, mentre la ” d ” sta per dried, ovvero secco.
D.H.S. Qualità
25 f Anaheim mild
42 f Sandia
60 f Elephant’s Trunk
60 f Santa Fe Grande
95 f Santo Domingo Pueblo
133 f Serrano
135 f Ancho Mexican Large
270 f Pusa Jwala
380 f Mexican Negro
400 f Jalapeno, razza verde
400 f Trupti
500 f Manzano or Rocoto
1,000 d Mandi
1,300 d Guajillo
2,000 d Dagger Pod
2,000 d Flame Fountain
2,777 f Habanero red (compreso Red Savina)
2,857 f Habanero yellow
3,500 d Aji Brown
3,500 d Aji Rojo
3,500 d Aji Yellow
4,160 f Habanero orange
4,762 f Habanero brown
5,700 f Yatsufusa
6,700 d Thai
7,143 d Round Indian Chilly
8,000 d De Arbol
10,000 d Habanero orange
10,000 f Merah
10,000 f Red chili
10,000 f Tabasco
16,000 d Japones
20,000 d Assam
20,000 d Pequin
25,000 f Indian PC-1
30,000-50,000 d Tepin (senza semi!!!)

Le proprietà medicinali
Azione antibiotica
Vi sembrerà strano, ma la maggior parte delle piante studiate sotto questo aspetto hanno dimostrato di possedere una azione antibiotica più o meno pronunciata. Il capsicum, usato largamente in Etiopia per la preparazione dei piatti tradizionali, ha dimostrato, ad una concentrazione neppur troppo elevata, di poter inibire colonie di salmonelle e colibacilli assai diffusi in quelle zone calde e responsabili di gravi malattie intestinali.
La cosa non deve meravigliare più di tanto.
Gli antibiotici prodotti dalle piante hanno una funzione di difesa contro i germi in esse contenuti nè‚ più o meno come gli animali e l’uomo posseggono un sistema immunitario fatto di anticorpi e di elementi corpuscolati, macrofagi e linfociti, deputati allo scopo.
Il fatto singolare è che le piante che noi usiamo come spezie: aglio, prezzemolo, rosmarino, pepe, ginepro, origano, cumino, ecc., ne contengono in quantità significative.
Sembra quasi che l’uomo abbia cercato ed usato questi vegetali non solo per migliorare il gusto del cibo, ma per altre ragioni dettate dall’istinto.
Oltreché‚ preservarsi da certe malattie, ottenere da questi antibiotici naturali una modificazione della flora intestinale atta a sfruttare meglio la digestitone del cibo e quindi derivarne un maggior apporto calorico.
In parole semplici, un piatto povero di farinacei o patate, insaporito con prezzemolo, aglio e peperoncino, aumenta il suo valore nutritivo reallizzando così un vantaggio economico.
Spiega, almeno in parte, come certe popolazioni della terra riescano a sopravvivere con diete misere ai limiti della sopravvivenza.
Questo ben sanno gli allevatori che, somministrando antibiotici agli animali in batteria, ottengono un maggior utile che va dal dieci al venti per cento.
Da tutto ciò che ho detto se ne potrebbero ricavare pratici vantaggi?
Qualche “patito” del peperoncino farà, a questo punto, un salto sulla sedia. Ma, allora, la decantata cura col peperoncino dell’ulcera gastro-duodenale, scoperta recentemente la sua natura microbica (Campylobacter), ha una sua valenza scientifica?
Andiamoci piano e soprattutto lasciamo che le applicazioni scientifiche le facciano gli esperti. Intanto, se è vero che il peperoncino (come tanti altri vegetali ed in maggior misura) possiede azione antibiotica utile specialmente ai fini della flora intestinale, è anche vero, questo è il rovescio della medaglia, che queste piccole dosi di antibiotico possono anche provocare una resistenza batterica quale effetto indesiderato.
Eppoi, il fatto che questo artificio possa essere usato per “arricchire” in calorie la dieta, béh, questo poi non ci interessa, anzi!
In conclusione, è sempre difficile valutare l’azione di un farmaco partendo da qualche sua caratteristica, magari suggestiva.
Tra la definizione teorica di essa e la sua applicazione pratica (vedi ulcera gastrica) c’è di mezzo una sperimentazione, la conferma dei risultati che devono essere costanti e sicuri.
Se Fleming ha scoperto la penicillina in una muffa, non ci sogneremmo mai di fare impacchi di muffa su di una ferita!
Azione anticancerogena
Prendiamo l’argomento con le molle e con tanta, tanta prudenza.
Le nitrosamine sono composti (bombe ad orologeria) con le quali veniamo a contatto giornalmente, volenti o nolenti e che hanno una comprovata azione cancerogena.
Sono contenute nei vegetali coltivati su terreni eccessivamente concimati, anche con concimi naturali; in certi legumi, spinaci, insalate diverse.
Anche la bollitura può trasformare i nitrati in nitriti e quindi in nitrosamine per azione di bacteri in derrate mal conservate dopo la cottura.
Le nitrosamine si possono formare anche in carni mal conservate o pesci non freschi.
Possono essere presenti in prodotti di fermentazione come vino e birra.
Si sviluppano anche all’interno dell’apparato digerente, sempre per azione di microrganismi, in ambiente troppo acido.
Nei fumatori, la saliva stessa può sviluppare nitrosamine.
E chi più ne ha, più ne metta!!!
Fortunatamente il nostro organismo ha la facoltà, con alcuni enzimi, di rendere solubili e quindi eliminabili questi composti nocivi.
Purtroppo però altri enzimi (il citocromo p450j) reagiscono con queste sostanze dando luogo a prodotti potenzialmente cancerogeni.
Ora, pare che il peperoncino, la sua capsicina, abbia la proprietà di legarsi a questi enzimi traditori, neutralizzandoli. Ma il problema non è così semplice.
E’ stato anche dimostrato, purtroppo, che 11 nitrato di sodio presente in molti alimenti, reagendo con le spezie aggiunte per la loro conservazione (peperoncino compreso) possono dar luogo alla formazione di nitrosamine.
Come vedete l’argomento è assai spinoso!
E’ stato accennato per sommi capi per farvi comprendere come quella che potremmo chiamare la farmacologia alimentare sia irta di trabocchetti e non permetta esemplificazioni di comodo.
Se però consideriamo che il peperoncino ha una buona azione antiputrefattiva e possiede una efficace azione sulla peristalsi intestinale atta ad accelerare il transito delle feci così impedendo il loro ristagno nel grosso intestino e la formazione di sostanze mutagene, ecco allora che l’azione del peperoncino può essere utile, specie quando la dieta sia ricca di fibre vegetali.
Azione antisclerotica
Recenti studi condotti in Giappone hanno appurato che la capsicina ha sul sangue una azione fibrinolitica (come l’aglio e la cipolla, se non lo sapevate!).
A vostra conoscenza dirò che la fibrina è una specie di reticolo che va ad avviluppare quegli accumuli di piastrine che si sono andate formando sulle piccole lesioni create dal tempo a danno delle nostre povere arterie. Tappando sì il buco ma creando, con la fibrina appunto, con i globuli bianche, rossi e calcio quella placca ateromasica che nel tempo può divenire tanto voluminosa da chiudere il vaso stesso.
Antiaggreganti piastrinici e fibrinolitici sono quindi i farmaci che impediscono la formazione della placca. Il che, come dicevamo all’inizio, pare sappia fare il peperoncino.
La qual cosa, anche se suggestiva, deve ancora essere dimostrata in modo sicuro.
La tesi, molto accreditata, che sostiene questo asserto, si basa sulla constatazione, in verità inoppugnabile, che i popoli che fanno largo uso di peperoncino sono statisticamente meno soggetti all’arteriosclerosi e quindi all’infarto. La deduzione è affascinante ma un po’ semplicistica.
Non dimentichiamo che quei signori, si fa per dire, mangiano meno di noi (o non mangiano affatto) non fumano si arrabbiano di meno e se la prendono comoda (andando a piedi).
Probabilmente, facendo o non facendo tutte queste cose, anche noi camperemmo di più, anche senza peperoncino!
Il peperoncino come anestetico
Le prime ricerche di laboratorio sul peperoncino risalgono agli anni venti.
Soggetti designati negli esperimenti i soliti poveri cani, probabilmente senza il loro consenso.
I primi ricercatori, iniettando la capsicina endovena provocano un rallentamento degli atti respiratori fino all’apnea, un abbassamento della pressione arteriosa ed una diminuzione della frequenza cardiaca per azione vagale.
Sull’intestino isolato (sempre del povero cane) la capsicina aumenta il tono e la frequenza delle contrazioni Sempre lo stesso capsico, applicato localmente come tintura (questo si può fare anche sulla pelle di un cristiano!) provoca calore e bruciore ed in un secondo tempo arrossa l’epidermide ma non fa comparire vesciche anche in dosi molto concentrate. Non solo, ma a questo livello subentra uno stato di anestesia localizzata, il fenomeno già notato in passato (così curavano il mal di denti i Maja e gli Incas) è stato recentemente spiegato con il fatto che la capsicina entrerebbe in competizione con la cosidetta sostanza P che è un mediatore chimico tra la parte offesa ed il neurone che porta lo stimolo al cervello.
Questo misterioso fattore fu scoperto negli anni trenta ma fu isolato e meglio conosciuto quaranta anni dopo.
La distruzione o l’inattivazione, questo non è chiaro, di tale sostanza, impedisce dunque all’or- ganismo di percepire dolore da quel punto dove si è applicata la capsicina.
Con queste interessanti premesse si è recentemente provata l’applicazione di una crema di capsico sulle lesioni provocate da una malattia tipica del sistema nervoso periferico: l’erpes Zoster. Pare con buoni risultati, anche se consiglio i miei lettori di non fare esperimenti sulla propria pelle.
Nemmeno sui cani!!
Come viene chiamato nel mondo
ANCHO: Messicano, a forma di cuore, lungo circa 12 cm. dal sapore dolce. Quando è ancora verde viene chiamato Poblano e viene usato fresco.
AKE LOTA PEPPER – AKASHI LANKA: Due peperoncini indiani. Quest’ultimo dal nome simpatico “che guarda il sole” come l’omonimo messicano mirasol.
BERBERE’: Prodotto da diverse qualità di peperoncino, tutte assai vivaci, è principe nelle regioni dell’Eritrea e dell’Etiopia.
BIG JIM: Prodotto nel Nuovo Messico per l’esportazione U.S.A.
BIRD PEPPER: Della Florida.
CAJENNA: Molto piccante, deriva dall’antico Jalapeno. è, per gli europei, il peperoncino per antonomasia.
CHACOENSE: Originario della Bolivia, con l’ulupica padre e madre di tutti i peperoncini del mondo. CRASNJ PEREZ: E’ il nome russo del peperoncino.
CHILE O CHILI: E uno dei tanti nomi del peperoncino e deriva dalla denominazione che gli antichi atzechi davano allo stesso; chili.
Per chili i messicani intendono una polvere di peperoncino mescolata con farina di mais, cumino, cipolla, origano, aglio e pepe nero.
CILIEGIA: E rotondo con un diametro di due, tre cm. Molto piccante, è proprio delle Antille.
COLOMBO: Come il Chili messicano è una composizione a base di peperoncino ma con l’aggiunta di polvere di amido di riso, coriandolo, mostarda, curcuma polvere essiccata di mango.
Si usa nei Caraibi.
DATIL PEPPER: Peperoncino della Florida.
FELFEL AHMAR: Tipo Caienna, è il pepeironcino per antonomasia dei paesi del Nord-Africa. GUATJILLO: Uno dei tanti peperoncini messicani che non passano inosservati sulla lingua. HABANERO: È l’antico peperoncini dei Maya dello Yucatan ed ancora preferito dai loro diseredati discendenti (in antitesi polemica con gli ultimi arrivati ghe preferiscono lo jalapeno). Di colore verde scuro, rotondeggiante, lungo 5-6 cm, sì può considerare il più piccante del mondo e, stranamente, il più profumato.
HARISSA: Peperoncini di cajenna ammollati in acqua e quindi pestati con il sale.Conservati con olio di oliva e aglio.Serve per preparare il famoso couscous dei popoli africani che si affacciano sul Mediterraneo.
HONKA: È il nome giapponese del peperoncino. (Anche togarashi).
HONTAKA O IIONKA: È un peperoncino giapponese rosso-arancio lungo 5 cm. Molto vivace.
INDIANISHER PFEFER: È il nome tedesco del peperoncino. (Oppure spanisher pfeffer, beisbceren). JALAPENO: È il classico peperoncino messicano dal colore verde lungo 7 cm e la punta molto arrotondata. Essiccato al sole e affumicato con legna particolare prende l’antico nome azteco di chipotie.
È moderatamente piccante ed il più esportato negli USA.
LAAL MIRCH: È il nome indiano del peperoncino.
LAJUAU: È il nome cinese dei peperoncino.
MALAGUETA: È un piccolo frutto che si trova in Brasile e nella Guinea. In Europa è conosciuto come pepe della Giamaica.
MIRASOL: Messicano, a forma di cornetto, al contrario dei suoi simili, guarda verso l’alto, verso il sole, come l’indiano akashi lanka.
MIRCHA: È il nome indiano del peperoncino.
MULATO: Dal Messico, rosso scuro, quasi nero di forma rettangolare, largo 8 cm, lungo 10. È poco piccante ma in compenso più profumato dei suoi colleghi. È una varietà del poblano.
NUMEX: Dal nuovo Messico, è coltivato in larga scala.
PAJARITO: Della Colombia.
PAPRIKA: E il celeberrimo peperoncino ungherese. A seconda che si siano lavati o tolti i semi e la parte placentare si produce la paprika dolce, mezzo dolce, rosa che è la più forte.
PASILLA: E l’ennesimo peperoncino messicano di forma allungata, assai piccante. I suoi resti archeologici risalgono a 5000 anni fa.
PICKEENU: E il peperoncino verde della Tailandia dove se ne consuma una enorme quantità, la più alta procapite nel mondo. E’ molto piccante.
PIMENTON: Il peperoncino spagnolo macinato. (anche pimiento, guedillas).
PILLIPILLI: È un peperoncino delle isole di Capo Verde che viene usato anche in Portogallo mescolato a olio, aceto, cipolla, aglio e whisky.
PIMIENTO: Non molto piccante è una varietà coltivata negli Stati Uniti.
PIQUIN: Piccolo peperoncino del Perù, come tutti i piccoletti vivacissimo.
POBLANO: Messicani, piuttosto grandi, dalla forma allungata, verdi o rossi più o meno piccanti.
Vengono usati freschi. Secchi o affumicati cambiano nome in acho o mulato.
POIVRE DEL L’INDIE: È il nome francese del peperoncino, (è anche chiamato piment, poivre long). PULFUL: E il nome arabo del peperoncino.
RED PEPPER: E il nome inglese del peperoncino, (oppure spanish pepper, pod pepper).
ROCOTILLO: Sudamericano, assomiglia ad un piccolo pomodoro.
ROTOCO o LOCOTO: Della Bolivia e del Perù, èsimile ad una ciliegia e cresce sulle Ande a grandi altitudini.
SAMBAL: E una salsa indiana con polvere di peperoncino, latte di cocco, cipolla e aglio.
SANDIA: Dal nuovo Messico.
SANTAKA: Piccantissimo giapponese.
SCOTCH BONNET: Dalla Giamaica, è un parente stretto del micidiale habanero messicano SERRANO: Semiselvatico, ha la caratteristica dei frutti che crescono verso l’alto.
TABASCO: Peperoncino diffusissimo per le sue coltivazioni che dà il nome alla celeberrima salsa. TIAJN: Peperoncino cinese.
ULUPICA: Si trova allo stato selvaggio ed èconsiderato l’antenato di tutta la progenie con il chacoense. Non lo trovate nei negozi ma sulle montagne della Bolivia con un po’ di fortuna.
XCATIC: Allo stato selvatico nello Yucatan, oggi coltivato.
KUMATAKA: Piccantissimo giapponese
Come è conosciuto in Italia
Liguria: Peviuncin russu.
Lombardia: Peverone.
Piemonte: Peuvreun.
Emilia: Pevrun, Piviron.
Toscana: Zenzero, Pepe rosso, Pepe d’India.
Abruzzo: Pipidigno, Lazzaretto, Cazzariello Saittì, Pepentò Piccante.
Molise: Diavulillo.
Campania: Peparuolo.
Puglia: Peperussi, Pipazzu, Pipariellu, Diavulicchio, Zenzero.
Sardegna: Pibiri moriscu.
Sicilia: Piparieddu, Pipi russu
Basilica: Diavulicchio, Francisello, Cerasella, Pupon, Zafarano, Mericanilì, Mecarillo.
Calabria: Pipi infernali, Pipi bruciante Canearedu, Spezzuzzu, Pipazzu, Pipi sfuscente, Pipariellu.

Clementine Candite (Agrumi)

Ingredienti:
250 gr. di Clementine biologiche senza conservanti
250 gr. zucchero e 125cl. di acqua

la ricetta è la stessa per tutti gli agrumi. Arance, mandarini, limoni, cedri.

Con la punta di una forchetta bucare la buccia delle clementine e metterle a bagno in acqua per tre giorni, cambiando l’acqua la sera e la mattina. Il quarto giorno sgocciolare bene e pesare. A questo punto calcolare il peso dello zucchero e dell’acqua: con 250gr. di clementine sono necessari 125 cl. di acqua e 250 gr. di zucchero.

Preparare uno sciroppo con l’acqua e lo zucchero e portare all’ebollizione infine aggiungere le clementine. Mescolare per non far attaccare sul fondo e riportare all’ebollizione, bollire per 10 minuti. Togliere dal fuoco lasciare raffreddare e versare in una terrina. Lasciare riposare per un giorno. Bollire nuovamente come sopra descritto altre due volte, lasciando sempre un intervallo di un giorno. Dopo questa operazione le clementine dovrebbero aver assorbito quasi tutto il liquido.

Tagliarle a grossi spicchi e metterle ad asciugare su della carta da forno davanti al forno acceso a temperatura bassa.

Per essere conservate, le clementine candite devono essere riposte in una scatola di legno o una biscottiera, avvolte con carta oleata o carta da forno.