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Crema Cotta allo Zafferano

Ottimo dessert con sentori freschi adatto a tutte le occasioni. Ricetta personalizzata a partire da una ricetta tradizionale magrebina.

Ingredienti per 10 – 12 porzioni
800 ml. di latte
1 stecca di vaniglia
1 cucchiaino di zenzero
1 cucchiaino di zafferano
2- 3 chiodi di garofano
scorza di un limone non trattato
30 ml. di acqua di rose
140 + 40 + 80 gr. di zucchero semolato
12 gr di gelatina (6 fogli)
4 uova e 2 tuorli

per caramello
80 gr. di zucchero
4 cucchiai di acqua
succo di 1/2 limone

Portare all’ebollizione il latte, con 140 gr. di zucchero, la vaniglia e gli altri ingredienti, mescolando bene affinché i componenti si sciolgano bene. Togliere dal fuoco e lasciare raffreddare. Aspettare almeno 2 o 3 ore prima di riportare il latte all’ebollizione.
Mettere i fogli di gelatina in una scodella con l’acqua fredda.
In un pentolino far sciogliere 80 gr. di zucchero fino a che non si colora unire tre o quattro cucchiai di acqua bollente e il succo di limone. Mettere un cucchiaio di caramello ogni stampino e far raffreddare.

In una ciotola mescolare le uova con 40 gr. di zucchero con una frusta. Appena il latte raggiunge il bollore spegnere il fuoco e mescolare per un paio di minuti. Unire alle uova attraverso un filtro sempre mescolando. Sgocciolare i fogli di gelatina e unirli alla crema mescolando continuamente per qualche minuto.

Versare nei contenitori.
Cuocere in forno a 160° a bagnomaria per circa 40 min.

Far raffreddare e mettere in frigorifero almeno 6 ore prima di servire.
Al momento di servire capovolgere la crema nel piatto.
Se la crema non si stacca dal contenitore, mettere prima il contenitore in una bacinella con dell’acqua calda per un minuto.

Confettura di Arance Amare

Prima rev. 05/02/2011 rev. 08/05/2014

Come per tutte le confetture la regola è sempre la stessa. I migliori risultati si ottengono con frutti sani e che non abbiano toccato il frigorifero.

Con queste quantità si ottengono circa 2 Kg di confettura

  • 1 Kg. di Arance pronte
  • 1,3 Kg. di zucchero
  • 400 ml di acqua

Preparazione

Mettere a bollire le arance per una decina di minuti poi metterle in acqua fredda e tenerle per due giorni cambiando l’acqua mattina e sera.

Tagliare le arance prima a metà e poi a strisce sottili. Se le arance fossero troppo mature e la buccia si stacca facilmente allora affettare separatamente la buccia e gli spicchi.
A questo punto si può fare in due modi o togliere i semi e metterli a parte in una garza o lasciarli e in seguito si potranno togliere in cottura con la schiumarola.

È importante che i semi ci siano perchè danno più aroma alla confettura. Come è importante che ci sia la fibra bianca degli spicchi (Albedo) perché ricco di antiossidanti, vitamina C e di pectina.
Pesare e mettere al fuoco lo zucchero con l’acqua necessaria. Portare all’ebollizione quindi aggiungere le arance e cuocere a fuoco basso mescolando spesso ed eventualmente schiumando almeno due ore e o fino alla consistenza desiderata.
Invasare a caldo in vasi precedentemente sterilizzati. Riporre al buio e al fresco.

Con una comune stampante si possono fare anche le etichette.

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Abbinamento

Difficoltà

BASSA

Spunti & trucchi

Prima di chiudere i vasi inumidire i tappi ermetici con un goccio di rum o altro liquore. Oltre a sterilizzare ulteriormente il tappo ciò dona un gradevole aroma alla confettura.

Panini al Ramerino

Ingredienti per 4 panini

  • 200 gr. lievito bianco
  • 300 gr.farina
  • 100 ml. di olio
  • 100 ml. di acqua
  • 50 gr. uva sultanina o zibibbo
  • 20 gr. di zucchero
  • 6 gr. di sale
  • un rametto di rosmarino

Preparazione

Il lievito bianco

La sera prima preparare il lievito bianco con 5 gr di lievito di birra e 100 gr di farina in circa ½ bicchiere di acqua

L’impasto

Scaldare l’olio con mezzo rametto di ramerino per circa 10 minuti senza friggere. Far raffreddare e filtrare.
Rinvenire l’uva in un bicchiere con acqua.

Mettere il lievito in una bacinella, diluirlo con l’acqua aiutandosi con una forchetta. Spezzettare l’impasto. Aggiungere il sale e lo zucchero, mescolare un poco, quindi unire la farina e l’olio.
Impastare per una quindicina di minuti fino a quando l’impasto non risulta liscio e morbido.
Unire, poco alla volta, l’uvetta, sgocciolata, e il restante ramerino tritato finemente. Compattare l’impasto in una “palla”, e depositarlo in una bacinella dove è stata sparsa un po’ di farina. Coprire con un panno e mettere a lievitare per 2 o 3 ore in un luogo caldo. L’impasto deve quasi triplicare il suo volume. Con le dosi indicate dovrebbero risultare alla fine circa 650 gr. di impasto.

I panini

Preparare una o due teglie da forno e ungerle con olio.
Dividere l’impasto prima in quattro parti. Dare loro una forma allungata (la forma di filone) e distenderle sulla teglia distanziate in modo che raddoppiando di volume non si vadano a toccare l’una con l’altra.
Coprire con un panno leggero e lasciare lievitare per almeno 2 o 3 ore.
Successivamente, utilizzando un pennello spalmare con olio i panini crudi e lievitati, e mettere in forno caldo a 180° . Cuocere a “vista” per circa 15-20 minuti.

Abbinamento

Difficoltà

MEDIA

Spunti & trucchi

Pane da consumarsi da solo oppure come accompagnamento di salumi e formaggi.

Panettone

Questa ricetta non vuole essere LA ricetta del Panettone, dolce natalizio della tradizionale Lombarda, che ogni famiglia di pasticceri si tramanda da secoli. Questa è semplicemente una ricetta, sperimentata e collaudata da diversi anni, per fare un ottimo panettone casalingo.

La foto è relativa ad uno degli esperimenti leggermente bruciato a causa di un forno eccessivamente caldo.

Le foto “belle” non siamo riusciti a scattarle….finiva prima!

Dosi per 3 panettoni da 7-800 grammi

    I° impasto

  • 250 gr. lievito bianco
  • 250 gr. farina
  • 90 gr. zucchero
  • 75 gr. burro fuso
  • 1 uovo intero + 2 tuorli
  • 50 gr latte
  • 1 cucchiaio miele
    II° impasto

  • 350 gr. farina
  • 150 gr. zucchero
  • 175 gr. burro fuso
  • 4 tuorli
  • 100 gr. di uva sultanina
  • 100 gr. arancia candita
  • 100 gr. cedro
  • 7 gr. di sale
  • Semi di una stecca di vaniglia
  • Scorza di limone

Preparazione

Lievito bianco (mattino)
Preparare il lievito bianco con 10 gr di lievito di birra e 100 gr di farina in circa 70 ml. di acqua

I° impasto (dopo due/tre ore)

Mettere il lievito in una bacinella, diluirlo con le uova sbattute con lo zucchero, aiutandosi con una forchetta. Aggiungere la farina, impastando, ed infine il burro (fuso ma non caldo).
Impastare fino a quando l’impasto non risulta omogeneo. Coprire con una pellicola e un panno, lasciare lievitare in un luogo tiepido e umido senza correnti.

II° impasto (la sera)

Diluire di nuovo l’impasto con le uova sbattute e miscelate con lo zucchero, il sale, la vaniglia e altri eventuali aromi. Aggiungere la farina, e il burro poco alla volta impastando fino ad ottenere un impasto omogeneo.
Impastare ancora cinque minuti aggiungendo poco alla volta l’uvetta e i canditi.
Dividere l’impasto per il numero dei panettoni e modellarlo a forma di “palla”, depositarlo negli appositi stampi di carta forno. La palla deve essere circa a metà dell’altezza dello stampo. Coprire con un panno leggero e lasciare lievitare tutta la notte in un luogo caldo senza correnti. Siccome durante la lievitazione l’impasto supera l’altezza dello stampo è bene interporre tra lo stampo e il panno un foglio di carta oleata o pellicola in modo che quando si toglie il panno non rimanga appiccicato. Un’alternativa è mettere i panettoni a lievitare dentro il forno, chiuso e spento.
Al mattino, fare un’incisione alla sommità dei panettoni a forma di croce ed al centro metterci una noce di burro.

Mettere in forno (uno o due panettoni) caldo a 200° per 15 minuti poi abbassare a 160° e finire di cuocere per altri 30 minuti.

Abbinamento

Spumante dolce

Difficoltà

ALTA

Spunti & trucchi

Lavorare l’impasto umido senza aggiungere troppa farina

L’arte di impastare

Ingredienti Principali
Gli ingredienti principali di un impasto, che servirà per il pane o per un dolce, sono:

Acqua
L’acqua è uno degli ingredienti principali, credo addirittura determinante per il risultato dal punto di vista organolettico. Se siamo capaci di distinguere, bevendo, un’acqua da un’altra, le stesse differenze si potranno riscontrare nel pane, pizza o dolce che abbiamo realizzato con l’impasto.
Se il sapore dell’acqua di rubinetto ci lascia perplessi, utilizziamo acqua minerale.

Lievito
Quando si mescola l’acqua con la farina, per la natura della stessa, si da avvio a una reazione chimica che genera proteine e a una fermentazione che porta alla lievitazione spontanea dell’impasto. La proprietà più importante della farina di grano è che a contatto con l’acqua due proteine, la gliadina e la glutenina, reagiscono e formano il glutine. Il glutine è una proteina complessa che crea un reticolo all’interno della massa di farina e acqua, rendendola compatta, elastica e capace di trattenere i gas che si sviluppano al suo interno: si formano così bolle che aumentano il volume e danno all’impasto la caratteristica struttura spugnosa. Per facilitare questo processo si utilizzano vari tipi di lievito, naturali e chimici.
Tra i lieviti naturali il più diffuso e usato è il lievito di birra. Si trova in commercio fresco e secco. Il lievito di birra saccharomyces cereviasiae è un residuo della fermentazione della birra, un fungo microscopico che si trova anche sulla buccia di alcuni frutti.
Il lievito di birra fresco si sbriciola facilmente, ha un colore nocciola chiaro uniforme e non si incolla alle dita.
Per utilizzarlo si deve diluire con acqua tiepida e un pizzico di zucchero almeno 15 minuti prima di unire all’impasto. L’ideale è una temperatura intorno ai 35° C: un liquido troppo caldo (più di 40° C) uccide i micro organismi vivi del lievito.
Il lievito di birra secco può essere comodo da tenere in casa, poiché si conserva a lungo. Si diluisce nello stesso modo anche se qualcuno lo utilizza direttamente nell’impasto. In questo modo si accentua la traccia di odore lasciata

Farina
La farina è un alimento ottenuto dalla macinazione dei cereali; le più comuni sono le farine di grano o di mais, ma esistono anche farine di orzo, di farro, di riso, di avena, di segale, di kamut. La farina è costituita fondamentalmente di amido, con parti minori di proteine, grassi e fibre.
Il frumento o grano è il cereale dalla cui cariosside si ricava la farina per eccellenza. Gli antihi egizi, considerati i veri inventori del pane, capaci di realizzare più di cinquanta tipi di pane diversi, gli avevano riservato un vero e proprio culto.
Triticum sativum è la definizione scientifica del grano tenero e Triticum durum il grano duro da cui si ricavano le rispettive farine più utilizzate in cucina. Esiste anche un Tritcum turgidum con caratteristiche intermedie ma poco diffuso. Triticum dicoccum è il farro anche questo molto conosciuto fin dall’antichità.
Sia dal grano tenero che duro si ottengono le farine di tipo 00, 0, 1, 2 e integrale che differiscono per il grado di abburattamento (la percentuale di separazione della farina dalla crusca). Nel processo di molitura infatti l’involucro esterno della cariosside (crusca e cruschello) si separa dalla parte inferiore (germe), ricca di proteine, e dalla parte interna, amidacea (endosperma), ricca di glutine, capace di trattenere durante l’impasto fino al 200% del suo peso in acqua.
Si definisce 00 la farina che ha subito il 50% di abburattamento, 0 al 72%, 1 80%, 2 85%; la farina che ha subito solo un primo processo di macinazione è detta integrale. Il fiore di farina è un prodotto finissimo ottenuto dalla parte interna, contenente glutine di qualità. E’ considerata tradizionalmente la farina per eccellenza nella produzione dolciaria.
A seconda di quanto glutine contiene una data farina, l’impasto con l’acqua sarà più o meno resistente ed elastico, e varierà anche il tempo necessario per la lievitazione. Questa si chiama Forza della farina e tecnicamente è misurato con un valore di panificabilità W che va da 170 per le farine deboli a 350 e oltre per le farine speciali (Manitoba). Dal momento che sulle confezioni non è riportato tale valore, si prende come riferimento la quantità di proteine. Più alto il valore di proteine più alto il valore di W e più alto il contenuto di glutine.
– Fino a 170W (deboli): per biscotti, cialde, grissini e dolci friabili; anche per besciamella e per rapprendere salse. Assorbono circa il 50% del loro peso in acqua.
– Da 180W a 260W (medie): Pane francese, panini all’olio, pizza, pasta: assorbono dal 55% al 65% del loro peso in acqua.
– Da 280W a 350W (forti): Pizza, pasta all’uovo, pasticceria a lunga lievitazione: babà, brioches. Assorbono dal 65% al 75% del loro peso in acqua.
– Oltre i 350W (farine speciali): in genere fatte con particolari tipi di grano, vengono usate per “rinforzare” farine più deboli, mescolandole, oppure per prodotti particolari. Assorbono fino al 90% del loro peso in acqua.
Le farina normalmente in vendita nei negozi e supermercati variano fra i 170W e i 200W. Si utilizza la farina Manitoba, con circa 400W, per miscelarla alla farina “normale” e ottenere la forza voluta.

Uova
L’uovo è, in assoluto, l’alimento più ricco di sostanze nutritive. E’ particolarmente utilizzato negli impasti dolciari ricchi di proteine e grassi. Normalmente si utilizzano il tuorlo e l’albume separatamente per le diverse caratteristiche fisiche e per le funzioni assolte. In commercio le uova si trovano classificate in categorie di peso e di freschezza:
categoria 1 peso da 70 gr. in su , 2 da 65 gr. a 70 gr. e così via.
Le uova Extra possono essere bevute, e devono essere vendute entro 7 giorni dalla deposizione; le A sono fresche (oltre 7 giorni dopo la deposizione), mentre le B e C sono congelate e destinate all’industria.
Nell’impasto l’uovo, oltre a insaporire, lega gli ingredienti e facilita il trattenimento dell’aria dando volume e sofficità.

Grassi
Tra gli ingredienti che entrano spesso nella preparazione di un impasto figura il latte, ed in particolare i suoi derivati: burro e panna giocano un ruolo importante.
Il burro diventa ingrediente fondamentale nella pasta frolla e e nella sfoglia. A volte viene sostituito da strutto, margarina o olio.
Lo strutto, ottenuto dal maiale, è la sostanza che più di tutte rende friabile un impasto.
La margarina, di derivazione vegetale, è molto usata in ambito industriale, anche per il minor costo rispetto al burro. Alcuni nutrizionisti la consigliano per il suo più basso contenuto di grassi, altri la sconsigliano perché ottenuta da trattamenti che incidono negativamente sul prodotto finito.
L’olio, se possibile, dovrebbe essere utilizzato al posto del burro per le migliori qualità dietetiche.
Tutte queste sostanze sono utilizzate nell’impasto per dare elasticità e aiutare la formazione di bolle d’aria, durante la cottura che contribuisce a dare leggerezza al prodotto finale. Tale proprietà è data dai grassi contenuti e quindi, secondo me, è inutile utilizzare prodotti light, grassi 0,1 ecc. e dietetici in genere: si corre il rischio, per avere lo stesso risultato, di dover aumentare la quantità.

Dolcificanti
Il dolcificante più usato è il saccarosio, lo zucchero estratto dalla canna o dalla barbabietola con procedimenti diversi. In entrambi i casi si ottiene una sostanza di colore giallognolo che se successivamente raffinata attraverso procedimenti industriali diventa bianca.
Contrariamente a quanto si crede, i principi calorici dello zucchero di canna o di barbabietola sono praticamente identici in quanto entrambi hanno il 98% di saccarosio. Lo zucchero ha ben 4 calorie per grammo e nessun principio nutritivo. Quindi, da un punto di vista dietetico, dove possibile sarebbe da sostituire con il miele. Altri tipi di dolcificanti come sorbitolo, fruttosio, ecc. sono prevalentemente usati in ambito industriale. Quelli sintetici come la saccarina sono spesso contenuti in prodotti per diabetici.

Sale
Il sale inibisce l’azione del lievito: ecco perché si consiglia di preparare un primo impasto (o pasta madre o lievito bianco) con solo lievito, acqua e farina, al quale si aggiungono successivamente gli altri ingredienti per una seconda lievitazione.

L’arte di friggere

Semplici attenzioni
La frittura è una tecnica di cottura molto usata in cucina. In qualsiasi scuola culinaria: da quella orientale a quella europea antica e moderna. E’ opinione comune che, dal punto di vista dietetico, la frittura non sia consigliabile, ma è anche vero che sono poche le pietanze invitanti come un’ottima frittura dorata e croccante.
Il problema è dato dalla eccessiva assunzione di grassi e dalla difficile digeribilità per il nostro organismo. Non è mia intenzione redigere un trattato medico, primo perché non essendo un medico non ne ho l’autorità, secondo perché si trovano moltissime pubblicazioni sui regimi alimentari, diete ecc.; ma la dieta mediterranea è da sempre considerata la più completa e salutare, e le fritture fanno parte di questa cucina. Posso dunque suggerire alcune regole per rendere una frittura più “dietetica”.

– “non eccedere”. Il fritto può essere inserito in qualsiasi regime alimentare, ma non più di una o due volte la settimana, a seconda del soggetto e in quantità adeguate.

– “Impedire l’eccessivo assorbimento dell’olio da parte degli alimenti”. Nel caso della frittura di alimenti a basso contenuto di grassi, quali ad esempio le patate o le verdure, i grassi penetrano nell’alimento e vi rimangono in quantità variabili dal 10 al 40%, per cui l’alimento fritto assume una composizione in acidi grassi simile a quella dell’olio utilizzato per la frittura. Negli alimenti a elevato tenore di grassi, quali la carne o il pesce, non si hanno significative modifiche di ordine quantitativo. Nel conteggio delle calorie è opportuno tener conto anche dell’alimento utilizzato. Ad esempio il formaggio, passato nell’uovo, poi impanato e fritto è una vera “bomba” per l’organismo. Calorie, colesterolo, sovraccarico per il fegato e per lo stomaco… ci vorranno “centinaia di chilometri di corsa” per smaltire tutto.

– “Saper friggere, utilizzando oli e grassi di qualità”. A seconda delle fritture Olio di oliva extravergine, olio di semi e lardo.
La tecnica di frittura descritta in seguito è rivolta principalmente ad evitare l’assorbimento dei grassi e rendere la frittura più leggera e digeribile.
1. Utilizzare preferibilmente una classica padella di ferro o comunque di metallo fine in modo da avere meno inerzia termica. Se non si ha esperienza un buon termometro sarà di aiuto

2. L’olio deve essere caldo a sufficienza affinché la crosta si formi il più velocemente possibile in modo da limitare al massimo il passaggio dell’olio all’interno dell’alimento ma non troppo caldo da generare sostanze nocive. Non superare mai i 180° C in quanto temperature superiori accelerano il processo di alterazione dell’olio.

Di seguito sono indicati i Punti di Fumo (temperature che originano i processi di trasformazione molecolare nell’olio) dei prodotti più comunemente usati per friggere: i Punti di Fumo NON VANNO ASSOLUTAMENTE SUPERATI:
burro 110-130º C
margarina 140-150º C
olio di semi di Arachide o di Mais 160-180º C
strutto 180º C
olio di oliva 190-210º C
burro rettificato 200° (vedi ricetta per farlo)https://www.lenostrericette.it/news.asp?id=33
la tabella è indicativa perché i fattori che concorrono a modificare il valore del punto di fumo sono diversi (contenuto di acqua, livello di raffinazione ecc.)

3. Preparare gli alimenti da friggere, asciugandoli bene, evitando se possibile l’aggiunta di spezie o acqua, che accelerano il processo di alterazione di oli e grassi; aggiungere sale e spezie solo dopo la frittura. O semplice farina o pastella, o uovo o pangrattato, oqualsiasi impasto deve aderire il più possibile all’alimento, che sia pesce o carne, in modo che non si distacchi durante la cottura.

4 Evitare di abbassare eccessivamente la temperatura dell’olio riempiendo troppo la padella
5 Utilizzare una schiumarola a rete al momento di togliere gli alimenti dalla padella, in modo da sgocciolare bene la frittura. Utilizzare la carta gialla per assorbire l’olio in eccesso.

6 Sostituire frequentemente l’olio, vigilando sulla qualità dello stesso durante la frittura; un olio molto usato si riconosce dall’imbrunimento, dalla viscosità e dalla tendenza a produrre fumo durante la frittura.

7 Non utilizzare l’olio già usato. Unica eccezione può essere costiutita dall’olio di oliva, che però deve essere filtrato e pulito. E’ preferibile usarne meno o a temperatura più bassa se si deve friggere molto. Evitare assolutamente il “rabbocco”, l’aggiunta di olio fresco all’olio usato, perché quello fresco si altera molto più facilmente se a contatto con l’usato.

8 Proteggere oli e grassi dalla luce quando non si usano

In conclusione, la frittura è un metodo di cottura che ci permette di cuocere un alimento, mantenendone integro il sapore e il profumo, all’interno di un involucro croccante. Qualunque tecnica usata deve mirare a questo.

Tecniche

Solo farina
La tecnica più semplice di frittura è quella con la farina.
Si prende l’alimento si rotola nella farina facendo attenzione che la farina resti attaccata da tutti i lati, si elimina la farina in eccesso scuotendo delicatamente l’alimento o usando un setaccio e si mette altrettanto delicatamente nella padella con l’olio.

La pastella
La pastella serve per creare un involucro più spesso e croccante all’alimento fritto. La pastella può essere fatta in diversi modi in base alle ricette. Si prepara mescolando gli ingredienti in una bacinella sbattendoli con una forchetta. Di seguito alcuni esempi.
Semplice, con acqua, sale e farina. In genere deve essere preparata almeno quindici minuti prima di usala.
Spumosa con acqua fredda o ghiaccio, farina e tuorlo d’uovo unita all’albume montato a neve al momento di utilizzarla.
Se si vuole più gonfia si può utilizzare anche la birra ghiacciata invece dell’acqua.
In genere si utilizza la pastella più spessa per carni, pesci, patate che hanno bisogno di più cottura e quella più spumosa per fritture veloci di verdure, gamberi ecc. (Tempura)

Doratura
Si parla di doratura e frittura quando si utilizza l’uovo che rende il colore della frittura appunto d’orato. Per fare questo si deve preparare un piatto con la farina e uno con l’uovo sbattuto. Si prende l’alimento da friggere si rotola nella farina facendo in modo che la farina aderisca bene si passa velocemente nell’uovo da entrambe le parti si sgocciola leggermente e si tuffa in padella con l’olio caldo.

Pangrattato
Altro modo di doratura è passare prima nell’uovo e poi nel pangrattato premendo leggermente con il dorso della mano per far aderire la panatura.

Burro Chiarificato

Questo trattamento del burro serve per togliere l’acqua (dal 15 al 20 %) e la caseina presenti nel normale burro. In tal modo il punto di fumo del burro si eleva fino a 200°C circa: di conseguenza il burro potrà essere usato anche per friggere senza generare sostanze nocive (che si manifestano nel colore nocciola del burro fritto)
In una casseruola mettere il burro tagliato a pezzi a bagnomaria, e farlo sciogliere dolcemente, senza friggere o bollire, per circa 2 ore.
A questo punto eliminare la parte accagliata in superfice (la caseina) con un cucchiaio o un retino molto fine. Successivamente versare lentamente in barattolo di vetro, recuperando soltanto la parte intermedia e lasciando nella casseruola il siero depositato sul fondo. Il siero dovrà essere eliminato.
Conservare in frigorifero come il burro normale.

Confetture Marmellate e Conserve

La conservazione degli alimenti

Fin dai tempi dell’uomo delle caverne, la conservazione del cibo ha sempre avuto una vitale importanza. La conservazione è importante per ovvi motivi: per superare i momenti di carestia successivi a quelli di abbondanza, per il traporto del cibo dal posto di origine al luogo della consumazione… Fortunatamente oggi esistono i frigoriferi ed i congelatori, ma prima? Prima di arrivare al frigorifero sono stati escogitati dall’uomo, nei millenni, diversi metodi: l’uomo delle caverne arrivava addirittura a sotterrare il cibo. Successivamente la conservazione si è ottenuta essiccando il cibo al sole, poi utilizzando erbe aromatiche, o il sale

In questa occasione, quello che mi interessa considerare è invece lo zucchero. Molti non lo sanno, ma lo zucchero è un “conservante” naturale. Come il sale.
Non voglio fare un trattato di biologia, non ne ho ne l’autorità ne le competenze. Mi limito a puntualizzare alcuni aspetti importanti riguardo all’utilizzo dello zucchero come conservante.
Oggi molti medici, scienziati, dietologi discutono sui pericoli e sui danni provocati dalla cattiva conservazione degli alimenti. Anche del congelatore.
Il processo di deterioramento del cibo è caratterizzato dalla proliferazione dei batteri e microbi che ne trasformano la sostanza rendendolo nocivo per l’organismo umano.
Le basse temperature dei frigoriferi consentono di conservare più a lungo gli alimenti, rallentando le reazioni enzimatiche e chimiche. A causa del rallentamento dell’azione enzimatica, anche lo sviluppo dei microbi viene rallentato: a -18 gradi può essere considerato nullo.
La maggior parte dei microbi, però, non viene uccisa dal freddo, come pure le tossine microbiche.
Quindi:
indipendente dal metodo di conservazione degli alimenti è bene partire da un alimento sano dal punto di vista igienico, batteriologico.
Proprio per questo è sempre bene lavare la frutta e la verdura con acqua e amuchina, bollire per almeno 10 minuti oltre 100° ecc.

Altro pericolo, molto ricorrente oggi, è il Botulino. Un batterio della stessa famiglia del Tetano che provoca infezioni molto gravi, le quali possono portare fino alla morte. Per maggior informazioni invito a consultare altri siti più specialistici.
Il batterio, Clostridium botulinum, si sviluppa nelle seguenti condizioni:
ambiente con assenza di ossigeno (meno del 2 %)
cibi umidi
ambiente poco acido con ph maggiore o uguale a 4,5
temperatura tra 3 e 50°C
concentrazione salina inferiore al 10%

di conseguenza il pericolo si può manifestare con alimenti non ben sterilizzati e conservati sott’olio. Non si può manifestare in alimenti conservati sott’aceto, o comunque in ambiente acido e nella marmellate con concentrazione di zucchero superiori al 35%.

In definitiva, lo zucchero al contrario delle basse temperature ha la proprietà di escludere la presenza di microbi e batteri, senza limitarsi a rallentarne l’azione. Un vantaggio non da poco!

La cottura dello zucchero

La cottura dello zucchero è semplice se effettuata con le dovute accorteze. Lo zucchero deve essere bianco e cristallino, deve essere messo a cuocere sul fuoco piccolo in un tegamino di acciaio. A seconda della ricetta può essere bagnato con acqua, con limone o liquore. Lasciare sciogliere senza mescolare ma scuotendo il pentolino.
Appena comincia a bollire lo zucchero diventa trasparente. Lasciare cuocere fino alla densità desiderata. Durante la cottura lo zucchero comincia a perdere acqua, per evaporazione, ed aumentare di densità. Prolongando l’ebollizione si ottiene uno sciroppo sempre più denso e scuro fino alla completa perdità dell’acqua e zucchero diventa caramello di color bruno scuro. Tale densità si può misurare con l’apposito strumento :pesa sciroppo o aerometro Baumé. In modo pratico si può dividere le varie densità in questo modo:
20 gradi = appena lo zucchero comincia a bollire
28 gradi = quando si vela un cucchiaio
30 gradi = quando comincia a filare ossia presa una picola quantità tra il pollice e l’indice, inumidite in acqua predda, si schiaccia e rilasciando forma un filo di 2 o 3 cm
33 gradi = quando il filo raggiunge i 4-5 cm
35 gradi = quando bollendo, lo zucchero, comincia afare delle grosse bolle
37 gradi = quando preso tra le dita è ancora morbido da formare delle palline
39 gradi = quando schiaciato tra due dita forma una lamella dura e croccante
40 gradi = quando si vetrifica
Caramello quando ormai ha perso completamente l’acqua

Conservare la frutta con lo zucchero

Attenzioni generali:
Per la conservazione usare sempre i frutti più sani e a giusta maturazione. Nelle operazioni sotto descritte, usare pentole di acciaio per dare un calore uniforme e per impedire la trasmissione di ossidi alle conserve. Per i vasi usare possibilmente quelli di vetro con i tappi ermetici e sterili.

I vasi vanno lavati in acqua calda e detersivo, sciacquati con acqua e amuchina (un cucchiaio per 10 litri) e messi ad asciugare rovesciati su di un panno pulito. Meglio se passati al vapore, sempre rovesciati, in una grossa pentola con poca acqua per una quindicina di minuti.
(Quando non esistevano le siringhe sterili usa e getta, in medicina si usava fare lo stesso con le siringhe di vetro e gli aghi…)

I metodi di conservazione della frutta sono diversi e possono essere classificati nelle seguenti categorie:

la confettura

si ottiene cuocendo la frutta intera o a pezzi in uno sciroppo di zucchero. I frutti più sani e a giusta maturazione daranno le migliori confetture.
Riempire la pentola non più dei due terzi perchè bollendo la confettura schiuma e aumenta velocemente di volume.
Controllare la cottura e schiumare solo alla fine.

Riempire il vaso fino quasi all’orlo di confettura ancora bollente; versare poi qualche goccia di grappa o rhum sul tappo e ruotarlo facendo bagnare tutta la parte che andrà a contatto col vetro. Chiudere ermeticamente e lasciare raffreddare. Conservare in un luogo buio, fresco, e asciutto.

la conserva

si ottiene facendo cuocere i frutti interi o a pezzi, con o senza sciroppo di zucchero, in vasi di vetro immersi in acqua bollente. Sterilizzare i vasi come descritto in precedenza. Lasciarli sgocciolare sopra un canovaccio pulito. Riempire con la frutta scartando assolutamente qualla non perfettamente sana e cercando di non lasciare spazi vuoti nel vaso. Lasciare meno aria possibile. Chiudere i vasi e porli in un recipiente adatto, inserendo dei panni tra un vaso e l’altro per non farli rompere al momento dell’ebollizione. Coprire di acqua fredda e portare all’ebollizione. Attenersi ai tempi di cottura indicati sulla ricetta. Togliere i vasi dalla pentola e coprirli con un panno per evitare brusche escursioni termiche che possono rompere il vetro.

la gelatina

si ottiene facendo cuocere il succo del frutto con dello zucchero, in egual peso. La preparazione della gelatina deve essere più accurata rispetto a quella delle marmellate e delle confetture. La gelatina deve esere filtrata e risultare trasparente. La cottura deve essere sorvegliata: la gelatina diventa troppo scura se cotta troppo o acida se cotta poco. I vasi si preparano come per le confetture e devono essere coperti solo quando la gelatina si sarà raffreddata.

la marmellata

si ottiene mettendo a macerare la frutta con lo zucchero per diverse ore prima di portarla a cottura.
Il procedimento segue quello delle confetture.

la composta

si ottiene come la confettura, aggiungendo però altra frutta o liquori. In genere si utilizzano le mele per abbassare la concentrazione di zucchero o per aumentare la quantità di pectina. La composta è subito pronta all’uso e si serve calda.

la frutta candita

si ottiene partendo da uno sciroppo che sarà completamente assorbito dalla frutta in tempi successivi. Dapprima lo sciroppo risulta fluido, poi si lascia assorbire dalla frutta, tenuta immersa per un giorno. In seguito lo sciroppo viene riportato all’ebollizione, operazione da ripetersi per diverse volte. La frutta può essere candita intera o a pezzi. Per ottenere un risultato ottimale, utilizare frutta non completamente arrivata a maturazione.

rev. 11 Nov 2016 lenostrericette.it

Triglie al cartoccio

La triglia di scoglio è il pesce che i Livornesi hanno scelto come emblema della loro cittadinanza. Quello proposto è un modo molto semplice di cucinare questo pesce, ma che garantisce un isultato gustosissimo.

Ingredienti per porzione

  • 1 triglia grossa o due triglie piccole di scoglio
  • almeno 350 gr.
  • 15 arselle (telline)
  • 1 spicchio d’aglio
  • 1 fogliolina di salvia
  • sale e pepe
  • 2 spicchi di limone
  • prezzemolo
  • olio extravergine d’oliva

Preparazione

Pulire le triglie, asciugarle delicatamente e stenderle momentaneamente su di un piatto. Procurarsi un foglio di carta forno o di alluminio della misura giusta per contenere una triglia. Distribuire le arselle al centro del foglio. Inserire uno piccolo spicchio d’aglio, una fogliolina di salvia e un pizzico di pepe nella pancia della triglia.

Porre la triglia sopra le arselle, con mezzo spicchio di limone vicino alla testa e mezzo vicino alla coda. Versare un filo d’olio e spolverare un pizzico di prezzemolo tritato. Chiudere il cartoccio sopra il pesce facendo combaciare il lato superiore con quello inferiore, arrotolandoli verso il basso, e alla fine piegare i lembi laterali in modo da sigillare il tutto.
Disporre i cartocci contenenti i pesci in una casseruola rettangolare o una pirofila, uno vicino all’altro in modo che le triglie stiano dritti con la pancia rivolta verso il basso.

Cuocere in forno a 160° per almeno 25 minuti. Una regola raccomanda dieci minuti di cottura per ogni etto di pesce. Comunque è bene, nell’incertezza, controllare la cottura aprendo un attimo il cartoccio ed eventualmente rimettere in forno a terminare la cottura.

Servire direttamente nel cartoccio sul piatto.

Abbinamento

Vernaccia di S. Gimignano

Bianco di Pitigliano

Difficoltà

BASSA

Spunti & trucchi

Al posto delle arselle è possibile utilizzare altri frutti di mare come cannolicchi, pietruzze ecc.

Pane tipo Francese

Il “Pan Francese” è un tipo di pane salato usato dai Livornesi principalmente per il “cinque e cinque”, ovvero “cinque centesimi di pane e cinque di torta”. Può essere abbinato a qualsiasi pietanza che richieda un pane salatino. Da mangiare preferibilmente caldo.

Ingredienti per 10 panini

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  • 500 gr di farina 0
  • 400 ml. di acqua
  • 20 gr di lievito di birra fresco
  • 20 gr di strutto
  • 1 cucchiaio di sale grosso
  • 1 presa di sale fino
  • Farina bianca e farina di semola

Preparazione

In un bicchiere sciogliere il lievito con 100 ml. di acqua e un pizzico di zucchero. Mettere a riposare in un luogo caldo ed attendere che si formi la schiuma. Versare la farina e una presa di sale sulla spianatoia o in una grossa bacinella. Al centro versare lo strutto ammorbidito, il lievito ormai pronto e la restante acqua. Impastare e lavorare per circa 15 minuti per ottenere un impasto omogeneo ed elastico. Modellare una forma sferica, coprire e lasciare a lievitare per almeno un’ora e mezza prima di passare alla fase successiva.

Stendere poi l’impasto in un rettangolo, tenendo presente che il lato minore corrisponderà all’incirca al doppio della lunghezza dei panini. Prendere sale grosso (se troppo grosso passarlo un minuto al tritatutto) e stenderlo sull’impasto. Ripiegare su se stesso l’impasto dal lato minore. Tagliare poi delle strisce, parallele al lato minore, dello spessore di due dita circa. Ne risulteranno panini a forma di “u”

Stendere un canovaccio con farina bianca e di semola. Parallelamente al lato corto del canovaccio, creare delle pieghe al centro delle quali andranno messi con una leggera pressione verso il basso uno o due panini, a seconda della lunghezza di questi ultimi: alzare il canovaccio per fare un’altra piega, infarinare, deporre il panino e così via fino a finire l’impasto. Coprire con un altro canovaccio e far rilievitare per almeno un’altra ora e mezza.

Con una spatola prendere i panini dal canovaccio e metterli distanziati in una teglia da forno cosparsa di farina.
Cuocere in forno caldo a 180-200° per 15 minuti fino a che la parte superiore non inizia a colorarsi di nocciola.

Abbinamento

Difficoltà

BASSA

Spunti & trucchi